La lingua e la cannella


“Bùt su an toc ad buj”  [“metto su un pezzo di bollito” n.d.r.] diceva sempre la mia nonnina quando si preannunciavano ospiti a cena. Per lei era un must del convito familiare, non era domenica senza un po’ di manzo bollito. La carne non mi è mai piaciuta, in compenso il brodo era sempre spettacolare. In particolare la cosa che mi ha sempre turbato di quella maestosa portata, tradizione imprescindibile in Piemonte, era la lingua, quella grossa lingua bovina intera che niente nascondeva dell’origine del taglio anatomico. Non sono mai riuscito a mangiarla, mi faceva impressione.
Credo che il limite dei tagli poveri negli anni sia stato un po’ questo: non si prestano a presentazioni invitanti, il 5/4 non è particolarmente bello da vedere. Però è dannatamente buono.
La lingua, come tutte le parti che lavorano molto durante la vita dell’animale, è estremamente saporita ma ha molto collagene quindi, se non adeguatamente cotta, risulta estremamente tenace.
L’ho mangiata recentemente proposta come se fosse un lecca-lecca con lo stecco di cannella, semplicemente fantastica.
La mia versione scoppiazza orgogliosamente questo accostamento, io affumico dei cubetti di lingua a freddo con questa spezia e poi la cuocio a bassa temperatura per 12 ore a 74°C, braso in padella e servo con una salsa di pera sfumata col prosecco, dolcezza e freschezza a compensare la grassezza e l’aroma speziato.
Incasinare il palato per soddisfarlo. Sempre.

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