Le ali ripiene



“Il filetto se lo mangi il macellaio” soleva tuonare Carlo, il mio mentore quando ho iniziato a lavorare nel mondo della carne. Per chiarezza non è che non gli piacesse il filetto, con quella frase riaffermava semplicemente la sua passione per i tagli più poveri, per la cucina popolare.
Elogio continuamente il 5/4, le materie prime umili ma ben lavorate. Credo che questo principio sia il punto di svolta anche nella ristorazione. Servire un taglio nobile serve a lavorare poco ma riduce il margine. Che lavorazione ci sarà mai dietro un filetto? Devi solo cercare di non fare danni. Servire un taglio povero sortisce l’effetto contrario: lavorerai di più ma avrai un risultato unico e ti terrai su dei bei margini di guadagno.
Pensandola sul piano domestico vuol dire poter organizzare dei banchetti spendendo pochissimo (ma lavorando come le bestie).
Questo piatto credo sintetizzi perfettamente questo concetto: prendere due delle materie prime più povere e lavorarle fino a tirare fuori qualche cosa di spettacolare.
Nello specifico si parte dalle ali di pollo, si trancia la parte più carnosa e si tiene solo la punta e la prima sezione, quella che per intenderci ha le due ossicine.

Si usa solo la parte più povera del taglio più povero dell’animale più povero, così, per precisare.

Fatto ciò si rimuovono gli ossicini, operazione abbastanza lunga e noiosa, per poi farcirle con riso Pilaf precedentemente bollito al dente e condito con un filo di olio e curry affumicato.
Si chiude con uno stuzzicadenti e si frigge a immersione.
Il risultato è un lecca-lecca di pollo, croccante fuori e col cuore morbido e speziato.
La punta dell’ala diventa lo stecco per mangiare in un sol boccone quella delizia croccante e profumata.
Una chicca che sollazza il bimbo che è in te, che fa tornare alla gioia incontenibile di quando la mamma ti faceva quel piatto che ti piaceva tanto.
Gioia pura.
Basta ricordarsi di togliere lo stuzzicadenti.

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