C’è chi viaggia per imparare le lingue, chi per conoscere
nuove culture, chi per conoscere l’arte e poi ci sono io. Io viaggio per
mangiare.
Per chiarezza, non sdegno nessuna delle altre motivazioni
sopra elencate, solo che sono profondamente convinto che la più profonda e vera
espressione della cultura di un popolo sia la sua cucina.
Se la lingua è assoggettata a regole, l’arte è dettata dal
volere dei magnate e le culture sono spesso influenzate dalla politica, la
cucina è invece libera e sovrana.
I miei viaggi sono quindi fondamentalmente dei percorsi
gastronomici, a volte estremamente vari, altre volte monotematici.
L’ultima spedizione di questo tipo è stata a Valencia, per
assaggiare quanta più paella possibile.
Checché se ne dica a Valencia non si mangia solo la paella “Valenciana”
ma è possibile trovarne forme e tipologie estremamente diverse: di sola carne,
solo pesce o miste, servite nelle pentole tradizionali o in porzioncine super
contemporanee.
Dopo tanto assaggiare e, chiaramente, tanto bere non dico di
aver trovato la mia ricetta preferita, ma quantomeno ne ho identificata una
versione di grande soddisfazione.
Partiamo dal principio: la padella.
Sono caduto nel cliché della tradizionale, non tanto per
fare il turista piciu che si fa fare il culo in aeroporto per le 4 padelle nel
bagaglio a mano, quanto perché è utile per le corrette proporzioni tra riso e
brodo e la crosta che riesce a far fare è unica… Quantomeno irripetibile con
quelle a fondo alto che ho a casa.
Secondo caposaldo è il riso: il bomba da ricetta, difficile
da trovare, io ho usato un Arborio. Dignitosissimo.
La faccio mista, come noto il pesce da solo non sfama: carne
di pollo, coniglio e salsiccia suina. Vongole o cozze a seconda di quanta
voglia hai di pulirle, gamberi, calamari e le verdure: fagiolini o taccole e
peperoni.
Ci sono due difficoltà principali nella paella: la prima è
bilanciare correttamente il peso di riso e di brodo, la seconda è non girarla.
MAI.
La procedura è estremamente semplice: si preparano gli
ingredienti e il brodo, si rosolano le carni, si aggiunge il riso e le verdure,
si mescola per distribuire omogeneamente e si aggiunge il brodo vegetale
insaporito con acqua dei molluschi e con le teste dei crostacei e colorato con la curcuma. Poi si aspetta
che il brodo si asciughi completamente fino ad iniziare a sentire il profumo
della crosta bruciacchiata. Tutto qui.
Facile? Per un cazzo.
E’ tutto un maledetto gioco di equilibri che non puoi
modificare in corsa, è un treno che una volta lanciato non puoi fermare e a cui
non puoi variare il percorso. E’ un esercizio di stile che prevede di conoscere
perfettamente gli ingredienti, gli strumenti e i sapori in ballo.
Ma quando arrivi a quella consistenza là… Quando il fondo è
croccante, il riso è al punto, le carni sono morbide e il pesce è umido il
giusto… Beh… Sei pronto per un nuovo viaggio.
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